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Curarsi

La visita presso uno specialista

Lo specialista delle malattie polmonari si chiama pneumologo. È consigliabile consultarlo tempestivamente, perché è colui che ha maggior familiarità con il quadro clinico e i sintomi di una fibrosi polmonare idiopatica.

Processo diagnostico

Per porre una diagnosi con sicurezza occorre seguire diverse procedure. Al primo posto c’è l’anamnesi: la raccolta della storia clinica del paziente. Attraverso ulteriori indagini e la diagnostica per immagini, il medico si avvicina alla diagnosi.

Anamnesi

La maggior parte dei pazienti con una fibrosi polmonare idiopatica (IPF) si rivolge a un medico perché soffre di tosse secca o respiro corto. Dal momento che ci sono diverse cause plausibili per questi disturbi, per poter porre una diagnosi di fibrosi polmonare idiopatica è molto importante raccogliere la storia clinica del paziente. Qualora i sintomi persistano è assolutamente necessario consultare uno specialista delle malattie polmonari (pneumologo).

L’ anamnesi (in greco antico «ricordo») è il primo passo della diagnostica medica. Il paziente illustra al medico la sua attuale storia clinica il più dettagliatamente possibile, dopodiché il medico effettua un esame fisico, durante il quale ausculta con particolare cura i polmoni con uno stetoscopio. In caso di sospetta IPF, è possibile che il medico, alla fine dell’inspirazione, senta un caratteristico crepitio in entrambi i polmoni: un suono simile a quello dell’apertura di una chiusura a velcro.

Un ulteriore indizio di patologia polmonare che può emergere dall’esame fisico è l’inspessimento delle estremità delle dita (dita a bacchetta di tamburo) e l’ingrandimento delle unghie, le cosiddette «unghie a vetrino d’orologio». Queste deformazioni delle dita sono apprezzabili in oltre la metà dei malati di IPF.

Diagnostica per immagini

Attraverso le radiografie e la tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRCT), i medici possono individuare alterazioni tipiche nei polmoni. Le immagini HRCT dei polmoni sono molto precise e permettono di individuare un’IPF e altre alterazioni dei polmoni già in uno stadio molto precoce. Con questa procedura i medici possono ottenere immagini precise della cicatrizzazione in un’IPF. Sulle immagini HRCT di malati di IPF, nei polmoni è possibile riconoscere le bollicine e le cavità tipiche di questa patologia, nonché strutture a nido d’ape a ridosso della parete toracica.

Prove di funzionalità polmonare

Le prove di funzionalità polmonare sono semplici e possono essere ripetute più volte. Non solo sono adatte a verificare l’attuale funzionalità dei polmoni, ma servono anche a monitorare il decorso della malattia nel lungo periodo. Solitamente i medici misurano la funzionalità polmonare mediante la cosiddetta spirometria. In questo modo possono valutare il volume respiratorio e la prestazione dei polmoni. In caso di fibrosi polmonare idiopatica, durante questo esame si manifesta un disturbo respiratorio causato da una minor capacità di espansione polmonare. Un sintomo tipico della fibrosi polmonare idiopatica è una ridotta capacità vitale: un’espressione che definisce la massima quantità d’aria che una persona può espirare dopo aver inspirato la massima quantità d’aria possibile.

La fibrosi polmonare idiopatica è caratterizzata da una ridotta capacità vitale: questa espressione definisce la massima quantità d’aria che una persona può espirare dopo aver inspirato la massima quantità d’aria.

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Esami endoscopici

Qualora le procedure sopra indicate non diano esito univoco, i medici possono ricorrere a una broncoscopia (esplorazione visiva delle vie aeree) con biopsia polmonare. Con questo esame si introduce un tubicino flessibile dotato di telecamera nel naso o nella bocca, spingendolo nella trachea fino ad arrivare ai bronchi. Durante questo processo gli pneumologi possono ottenere frammenti di tessuto polmonare e recuperare cellule di determinate aree dei polmoni mediante risciacqui (lavaggio broncoalveolare). Il materiale così raccolto viene poi esaminato. L’esame non è doloroso; il paziente rimane sveglio durante tutta la sua durata. Può darsi che prima dell’esame gli sia somministrato un sedativo.

Un’altra procedura per il prelievo di tessuto polmonare è la cosiddetta criobiopsia transbronchiale, che sta gradualmente sostituendo il prelievo convenzionale mediante pinzetta. Questa procedura sfrutta la criotecnica: la punta della sonda permette di gelare il tessuto e asportarlo con il broncoscopio.

Terapia – conoscere le possibilitá

La fibrosi polmonare idiopatica non è guaribile. Gli approcci di trattamento moderni possono rallentare, laddove possibile, l’evoluzione della malattia. In questo modo i malati possono imparare a convivere con la diagnosi di IPF e condurre una vita autonoma il più a lungo possibile.

Terapie antifibrotiche

Negli ultimi anni la terapia dell’IPF si è notevolmente evoluta, migliorando significativamente il trattamento dei pazienti affetti da IPF. Al momento esistono due terapie antifibrotiche. Come risultato, è possibile limitare la cicatrizzazione dei polmoni e ridurre il calo di funzionalità polmonare.

Terapie non medicamentose: ossigenoterapia

Esistono terapie non medicamentose che possono essere di supporto al trattamento sintomatico. I polmoni dei pazienti colpiti da IPF non sono più in grado di assumere ossigeno a sufficienza. Ciò porta immancabilmente a una carenza di ossigeno a livello dell’intero organismo, con una progressiva perdita prestazionale. L’ossigenoterapia (long term oxygen therapy) è molto importante per i pazienti: mediante la somministrazione aggiuntiva di ossigeno, questi possono continuare a rimanere il più attivi possibile e conservare un maggior margine d’azione.
Nel quadro della cosiddetta riabilitazione polmonare, i malati imparano a utilizzare correttamente l’ossigenoterapia e vengono inoltre istruiti su come convivere quotidianamente con la loro malattia.

Trapianto polmonare

Una delle opzioni terapeutiche nella cura della fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è rappresentata dal trapianto di polmone. Questa opzione, tuttavia, è praticabile solo per un numero ridotto di pazienti: da un lato è difficile trovare organi da donatori compatibili, mentre dall’altro il paziente deve godere di buoni condizioni fisiche.

Qualora debba essere eseguito un trapianto, occorre accertarne tempestivamente la necessarietà.

Per questo motivo, molti ospedali stabiliscono un limite massimo di età, che al momento è di 65 anni. Dunque, in caso di trapianto, è bene accertarne tempestivamente la necessarietà.